Il rapporto uomo-asino, dagli albori ad oggi, è stato caratterizzato da dinamiche relazionali che sono andate modificandosi lentamente nel tempo e ha assunto significati profondamente diversi in relazione alle epoche storiche, attraversando successive fasi di sviluppo.

Influenzato da mentalità, atteggiamenti, modalità di relazione legate ai popoli, alle culture, alle finalità che sono state date dall’uomo nel tempo a questo rapporto.

Possiamo rappresentare l’evoluzione della relazione uomo-asino dividendo questo percorso storico dalle origini ad oggi in tre grandi periodi:

I° Periodo: Il rapporto uomo-asino: discende da una cultura “magico-totemica” .

Non c’è distinzione fra il sé e il mondo. Il primitivo vive una condizione di indifferenziazione con la realtà e proietta la propria psiche su tutto ciò che lo circonda e ogni cosa viene “animata” di significati e intenzionalità.
In questa fase “animistica” l’uomo si identifica con gli animali. I clan prendono i nomi degli animali e l’uomo crede realmente di essere parte integrante della famiglia di quel determinato animale. Nelle antiche raffigurazioni infatti l’uomo spesso è ritratto con testa di animale.

In questa fase l’asino è sacro, i riti propiziatori con sacrificio dell’animale stesso hanno valore religioso.

Unica utilizzazione dell’asino in questo periodo è alimentare.
L’asino viene cacciato per essere mangiato.

II° Periodo: Il rapporto uomo-asino: discende da una cultura”meccanico-funzionale”.

Inizia con la doma prima dell’asino (circa 5’000 anni A.C.) e successivamente del cavallo.

Rappresenta il dominio dell’uomo sull’animale. L’uomo impara a sottomettere e a dominare l’asino, a controllarlo e a utilizzarlo per i propri scopi.

Scopre che asini e cavalli costituiscono una fonte notevole di energia e li usa come mezzi di trasporto e locomozione.
Gli animali sono considerati alla stregua di macchine.

L’interazione uomo-asino si articola sul piano prettamente “meccanico”: l’asino si lega, si tira, si spinge, si bastona, si carica ecc…L’interazione è “funzionale” ossia finalizzata all’utilizzo dell’animale.L’asino è un mero mezzo di trasporto.

L’asino diventa il compagno di lavoro dell’uomo, sodalizio che durerà sino ai nostri giorni.

III° Periodo: Il rapporto uomo-asino discende da una cultura “affettivo-relazionale”.

Molti animali diventano “animali da compagnia”, non svolgono alcun lavoro, si tengono in casa e ci si prende cura di loro per il solo piacere di farlo e per ricercare uno scambio affettivo.

L’uomo ricerca una “comunicazione” con gli animali ed è attento alle loro esigenze, al loro benessere, alle loro modalità comportamentali, ai loro codici di comunicazione.

E’ in questa cultura che nasce la pet-therapy. Pet: piccolo animale d’affezione.

Anche l’asino diventa “animale d’affezione”. Terminata la sua carriera come macchina da lavoro, viene riscoperto per le sue qualità empatiche e affettive.

Ma anche l’espressione “animale da compagnia”o “animale d’affezione” o la stessa attività di “terapia” potrebbero in realtà nascondere il persistere di una mentalità di “uso” dell’animale. Infatti non si tratta di “utilizzare” l’animale come strumento per la terapia, al contrario è la ricerca di una relazione, di una comunicazione sul piano emotivo con l’animale, che costituisce elemento di terapia.

Per poter parlare di “CULTURA AFFETTIVO-RELAZIONALE” è necessario che si instauri una “relazione”.

Ma la relazione presuppone due soggetti.

Solo con il riconoscimento dell’esistenza dell’altro come altro da me, dotato di una sua personalità e volontà, di suoi bisogni e istinti, di un suo modo di essere, di una sua individualità e intenzionalità, crea la condizione per l’instaurarsi di una relazione.

Si tratta di uscire da una visione Tolemaica antropo-centrica che considera l’universo al servizio dell’uomo, è necessario de-centrarsi e disporsi psicologicamente a incontrare l’altro.

L’uomo “monade”,autosufficiente, autocratico non ha problemi, non è messo in discussione da nulla, non ha l’angoscia del dubbio, non entra in crisi. Non si lascia “attraversare” dall’altro. E’ impermeabile al contatto. E’ rimasto legato ad una concezione dei rapporti come rapporti d’uso.E’ il soggetto che predilige la pratica masturbatoria al rapporto con l’altro.

La possibilità che si instauri una relazione parte dal riconoscimento della dignità di una esistenza autonoma, indipendente e distinta da noi che pone l’altro su di un piano orizzontale, uomo o animale che sia, di fronte a noi.

Relazione sempre nuova sempre diversa con ogni essere umano con ogni animale
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Non parleremo più per categorie, persone, asini, cani o cavalli, se non per discorsi di classificazione, ma parleremo ogni volta di un singolo soggetto e della UNICITA’ DELLA RELAZIONE che si instaura con un altro individuo.

Anche se la specie asinina non presenta una grande differenziazione di comportamenti al suo interno, come accade in altre specie, ad esempio i cani molto più diversificati per indole e atteggiamenti, tuttavia ogni animale è diverso dall’altro e va considerato nella sua unicità e individualità.

Relazione è fare i conti con l’altro.

Trovare la possibilità di comunicare con chi è diverso.
Comunicazione a volte difficile,conflittuale, dolorosa e faticosa, ma sempre arricchente.
E’ l’incontro-confronto con l’altro che ci permette di crescere,di cambiare, di migliorare, di prendere coscienza di noi.

Riusciamo a conoscerci soltanto attraverso le immagini di noi che viviamo attraverso gli altri.
Ognuno di noi è l’insieme di tutti quei personaggi che interpretiamo e che proiettiamo sul prossimo e che ci ritornano come riflessi da uno specchio.

E’ attraverso questo specchio che riusciamo a vederci e a conoscerci. E quanto più l’altro è diverso da noi tanto più ci impegna,, ci coinvolge, ci interessa; tanto più ci costringe a prendere coscienza di quelle parti che abbiamo rimosso.

Pensa ad esempio al rapporto uomo – donna. Attraverso il rapporto con la donna l’uomo conosce il suo femmineo, la sua emotività, la sua “anima”. Parallelamente la donna attraverso il rapporto con l’uomo conosce il suo “animus”.

Attraverso il rapporto con l’asino l’uomo entra in contatto con il suo mondo istintuale, viscerale, con i suoi processi arcaici, con i suoi meccanismi neuro-vegetativi.

Questa dimensione ancestrale, fatta di pulsioni, rimasta sepolta sotto la stratificazione dell’evoluzione ontogenetica, rimane a volte nascosta alla coscienza, ma è sempre viva.

Le storie di “metamorfosi”, di trasformazione dell’uomo in asino e dell’asino in uomo, dall’”Asino d’oro” a “Pinocchio”, testimoniano come sia facile ripercorrere a ritroso le fasi evolutive della specie e regredire a una dimensione primitiva, bestiale, rozza, ma nello stesso tempo come questa esperienza. della caduta dal paradiso terrestre rappresenti una opportunità di ri-nascita, di crescita consapevole, una esperienza di integrazione tra i processi primari e quelli secondari.

OGNI RAPPORTO E’ UNICO E IRREPETIBILE.

Rivendichiamo l’UNICITA’ dell’esistenza dell’uomo.
Allo stesso modo rivendichiamo l’UNICITA’ dell’esistenza dell’animale.
Affermiamo l’UNICITA’ della relazione.

Ancor più ogni persona, ogni animale è diverso in ogni relazione.
All’interno di un rapporto possiamo sentirci amati, stimati apprezzati e contemporaneamente in un’ altra relazione sentirci detestati e rifiutati. Allo stesso modo un animale viene vissuto come affettuoso, buono e socievole in un contesto e contemporaneamente ostile e pericoloso in un altro contesto.
Ogni rapporto ha una sua storia, una sua identità, un suo vissuto ed è investito di significati e valori specifici, unici.

E’ facile osservare, presso il nostro Centro, come piccoli e grandi che frequentano le attività con gli asini finiscano necessariamente per eleggere un animale come il “PROPRIO” animale. Ogni volta chiedono di quello e solo quello vogliono.

Anche i bambini che vengono saltuariamente per giocare con gli asinelli chiedono del “loro” asinello e rimangono male se è impegnato in altra attività e preferiscono attendere il loro turno che fare una sostituzione con un altro asino.

Allo stesso modo un bambino abituato a lavorare con un operatore mal tollera di non trovare il “SUO” operatore.

L’essere umano è unico e irrepetibile, non ce n’è mai stato , non ce n’è e non ce ne sarà mai un altro uguale; l’animale è unico e irrepetibile, non ce n’è mai stato, non ce n’è e non ce ne sarà mai un altro uguale, ( ben lo sanno coloro che addolorati per la perdita di un cane o un gatto si sentono irritati quando viene loro consigliato di acquistarne subito un altro per non sentire la perdita del primo. Il nuovo animale potrà essere accettato e amato, ma sarà sempre un’altra cosa e non potrà mai rimpiazzare quello perso).

NESSUN RAPPORTO E’ SOSTITUIBILE.

Lo stesso individuo è ogni volta diverso in ogni singola relazione.

Un amore è diverso da tutti gli altri amori. Una “storia”, un’amicizia, una relazione sono diverse da tutte le altre esperienze vissute.

Vogliamo che il nostro amore sia il più grande e che la nostra amicizia, storia e relazione non abbiano eguali. E come restiamo feriti se il nostro partner è portatore di una storia grande, ancora viva, non del tutto smaltita che riemerge di tanto in tanto in un cenno, in una battuta, in un ricordo in un riferimento.

Ed è la relazione il principale strumento che abbiamo a disposizione nel nostro ruolo di educatori e terapeuti.
Si chiama transfert nel setting analitico.
E la “cura” si realizza in quella dinamica di transfert e controtransfert che sono l’ossatura portante della relazione.

Senza relazione positiva non vi è guarigione.
Può funzionare un farmaco perché toglie il mal di testa, può funzionare un intervento chirurgico perché risolve una patologia ad un organo, ma si rischia di vincere singole battaglie, ma non la guerra. E’ tipico di persone che si riammalano in continuazione.

LA CURA E’ LA RELAZIONE.

Una volta mia nonna andò dal medico e tornò a casa infuriata perché il medico non le aveva prescritto alcun farmaco.

Dal punto di vista tecnico il medico aveva perfettamente ragione a non fare alcuna prescrizione.
Dal punto di vista psicologico aveva ragione mia nonna che non si era sentita capita accolta nella sua sofferenza, compresa nel suo bisogno di “cura” che per lei si traduceva in una sola cosa: medicine.
Sarebbe stato sufficiente un’aspirina o un placebo in un contesto accogliente e di com-prensione.

Il rapporto di cura per eccellenza fondato sulla relazione è la psicanalisi.

Per poter intraprendere un percorso analitico dobbiamo poter contare su tre elementi fondamentali:
a) sul fatto che vi sia capacità di comunicare a mezzo del linguaggio verbale,
b) sulla presenza di un IO,
c) sul fatto che vi sia PSICHE,ossia capacità di dare risonanza interiore, emotiva alle cose del mondo esterno e agli avvenimenti.
Prendiamo ad esempio un soggetto autistico. Non possiamo usare la parola come mezzo di comunicazione. In questo caso l’analisi non serve.
Consideriamo un tossicodipendente. In questo caso non possiamo contare sulla funzione di un IO stabile, ovvero su una funzione organizzativa dell’io e sul senso di responsabilità per il fatto che il tossicodipendente ha un IO molto debole o spesso frantumato. In questo caso l’analisi non serve.
Valutiamo la situazione di uno schizofrenico. Non possiamo contare su una Psiche, lo schizofrenico ha scisso da sé i propri sentimenti, non ha reazioni appropriate alla realtà, i suoi comportamenti seguono impulsi e fantasmi interni. L’analisi non serve.

Quando non possiamo contare su questi requisiti l’analisi non serve, non è praticabile, allora dobbiamo trovare altre modalità di relazione, altre forme di linguaggio, altri canali di comunicazione.

L’asino rappresenta un’altra modalità di comunicazione che non passa per processi mentali e verbali, ma si articola sul piano istintivo e corporeo.

Davanti ad un asino entriamo immediatamente in contatto con il nostro corpo, con i nostri impulsi. La presenza di un animale induce automaticamente una reazione viscerale, dalla tenerezza alla paura,dal desiderio di avvicinarsi e toccarlo al bisogno di allontanarsi ecc…, mobilita i nostri processi primari.

Pirandello incrociando lo sguardo di un asino disse: “ davanti ad un asino crolla ogni impalcatura filosofica”.

Siamo in presenza di un altro tipo di linguaggio e di comunicazione,non abbiamo bisogno delle parole.

Il linguaggio è il corpo.

La relazione con l’asino si articola su un piano profondo, istintuale arcaico. Attiva risposte sul piano emotivo e irrazionale,risveglia l’affettività e la sensibilità, è il mezzo ideale per rimettere in moto la gioia, il desiderio, il piacere, la voglia di fare ecc…

E’ il clima positivo e gioioso di questa relazione a tre con i sentimenti e le emozioni che lascia circolare, è la comunicazione che si instaura fra utente-operatore-asino che si tramuta in cura.

L’asino è un facilitatore della comunicazione quindi un elemento fondamentale della cura.

Ma cosa dobbiamo comunicare?
Quale lavoro dobbiamo svolgere utilizzando la mediazione con l’asino?
In cosa consiste l’attività con l’asino?

E’ una esperienza che ha come obiettivo il recupero della capacità di sentire, di provare emozioni, di esprimere sentimenti, di manifestare affettività.
Ha il compito di rieducarci alla consapevolezza dei nostri sentimenti, alla comprensione di ciò che sentiamo, al contatto con la nostra pancia, alla capacità di provare ed esprimere emozioni.

La nostra cultura è caratterizzata da una crescente perdita dell’affettività.

Mai come nella nostra epoca e in particolare in questi ultimi anni l’uomo ha vissuto e vive una crisi profonda nei rapporti interpersonali e nelle relazioni.

I rapporti affettivi sono diventati problematici ( basti pensare ai rapporti genitori – figli).
I rapporti di coppia sono sempre più conflittuali ( i rapporti di coppia durano sempre meno).
Oggi assistiamo al fenomeno dei rapporti “mordi-e-fuggi”e delle relazioni disimpegnate dette “amicizie erotiche”.

L’amore è diventato problematico.
L’amore non è una cosa che si fa, ma una cosa che si sente.
La nostra è una società a basso tenore emotivo, caratterizzata dalla crescente perdita dell’affettività, della solidarietà e della disponibilità verso il prossimo e dalla perdita della capacità di sentire, di provare emozioni.
I sentimenti hanno vita difficile in una cultura ove chi non li mostra è più apprezzato di chi li mostra. Ove i tratti caratteriali più duri e razionali risultano vincenti e i tratti di tenerezza e sensibilità risultano perdenti.

I sentimenti fanno paura.

Le parole si possono ritrattare i sentimenti no.

Perché le notizie di stragi compiute che ci giungono sempre più frequenti dalla cronaca ci colpiscono profondamente. Un marito uccide la moglie e viene arrestato un’ora dopo mentre mangia tranquillamente a ristorante Una ragazza di sedici anni insieme al suo fidanzatino uccide la madre e il fratellino. Una coppia di coniugi massacrano quattro persone vicine di casa. L’elenco potrebbe continuare per molto.
Cos’è che ci spaventa in queste notizie.
Certo la violenza delle azioni, ma soprattutto sapere se questa violenza è affare che riguarda solo alcuni individui o ci vede tutti a rischio.

Parenti e vicini di casa degli esecutori delle stragi intervistati il giorno dopo dichiarano: “ Era tanto una brava persona”, “ Nulla poteva far pensare a questa tragedia”, “Così educato, salutava sempre “,”Un po’ timido,riservato,sempre puntuale e attento nel lavoro”, ecc…

Sono descrizioni di persone comuni non di folli.

Quei moti di odio e distruttività, di rabbia e violenza appartengono a tutti non solo ad alcuni.
Ma non tutti diventiamo assassini.
A fermare la nostra aggressività non è la ragione accecata dall’odio, allagata dalla rabbia. Non sono i processi razionali di controllo resi inservibili dall’onda anomala della distruttività.
A fermare la nostra mano è il sentimento, la capacità di sentire ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è buono e ciò che è cattivo, la capacità di discernere un comportamento inoffensivo da un comportamento distruttivo, un’azione lecita da un’azione dannosa.
La capacità di sentire cosa possiamo fare e cosa non possiamo fare.

Questa dimensione psichica si forma attraverso quella “educazione sentimentale”, quella “ fiducia di base”, quella “presenza calda” che riceviamo sin dalla nascita.

Ma oggi i genitori sono preoccupati della crescita intellettuale e culturale dei figli, delle loro prestazioni, del successo sociale, della capacità di affermazione e dell’immagine di sé che sanno dare e poco si preoccupano dei sentimenti che si vanno formando nei loro cuori.

E allora non dovremmo meravigliarci quando comportamenti aberranti che non trovano alcuna risonanza emotiva nella Psiche esplodono incontrollati senza lasciare traccia, quando le azioni sono frutto di una Psiche appiattita e incapace di sentire.

Il tipo dominante della nostra cultura è la personalità schizoide.

Il tipo schizoide possiamo descriverlo come una persona generalmente ben educata, dai modi gentili, intelligente, formale, ma nello stesso tempo distaccato e freddo.

Non mostra mai emozioni, non si lascia toccare dai sentimenti, non crea mai relazioni affettive.

Sentimenti, calore, emozioni per lui sono un pericolo.

E’ in questa realtà sociale ove siamo diventati cinici, indifferenti, estranei l’un l’altro che nasce il bisogno di recuperare una dimensione umana, quindi affettiva per ristabilire un equilibrio psichico.
E’ in questo momento di crisi delle relazioni, delle difficoltà nell’ esprimere emozioni, della paura nel manifestare sentimenti che nasce il bisogno di tornare a contatto con gli animali, la natura, l’istinto, la spontaneità.

E l’asino con il suo essere “poroso”, caldo, morbido e accogliente ci aiuta a ritrovare quella comunicazione e quell’ “affettività di base” persa o che ci è stata negata. Con la sua semplicità funge da “facilitatore relazionale” contribuendo a superare rigidità, chiusure e ostilità.