ORTI DI CLASSE

Da sempre la presenza della specie umana sulla Terra è stata garantita dalla sua sapiente capacità di interazione con gli elementi della natura. Fin quando l’uomo era costretto ad essere nomade per “seguire il cibo”, sia esso vegetale o animale, con spostamenti continui dettati dall’avvicendarsi delle stagioni e dei territori, il suo impatto sul delicato equilibrio ecologico che sostiene tutti i regni della natura, era molto limitato. Questo perché il prelievo di “beni essenziali” non prevedeva il meccanismo dell’accumulo (da cui è scaturita la nascita della proprietà).Tutto era naturalmente offerto e bastava solo raccogliere bacche, semi, frutta ed erbe selvatiche che trovava sul proprio cammino. Poi qualche gruppo umano, forse allettato dall’abbondanza di risorse alimentari di luoghi fertili di madre Terra, si è fermato ed ha “inventato l’agricoltura”. La concentrazione della produzione e l’accumulo del cibo e beni di altra natura legata al sostentamento della comunità, ha determinato necessariamente un mutamento dei comportamenti e delle relazioni sociali. Da ciò scaturisce un disequilibrio che ha trasformato profondamente il rapporto tra uomo e natura. Da una oculata interazione sinergica con essa si è arrivati a pratiche umane  di tipo“predatorio”, in quanto la stanzialità implicava la concentrazione geografica delle coltivazioni e limitazione dei territori di caccia. Di qui il conseguente eccessivo sfruttamento dei territori antropizzati. Questa tendenza comportamentale ha preso il sopravvento ed ha espresso,dai tempi remoti fino ad i giorni nostri, varie civiltà che hanno basato il loro sviluppo sul sistematico sfruttamento del suolo fertile, delle acque e persino dell’aria che respiriamo. In base a queste precedenti considerazioni, si potrebbe tentare un’interpretazione in chiave eco-logica dell’attuale crisi eco-nomica. Si sta assistendo, a mio parere non ad una crisi economica dei mercati ma al collasso di un modello di civiltà basato sull’infinito e sistematico sfruttamento, impoverimento ed inquinamento delle fonti vitali. A tutto ciò si aggiunge l’eccessiva parcellizzazione delle attività umane che ha incentivato la specializzazione in ogni campo della conoscenza e della produzione. Questo ha consentito l’innesco di un meccanismo di sottrazione e sistematica mortificazione delle capacità di autoproduzione degli stessi beni essenziali. Allora, risulta prezioso il ruolo che l’istituzione scolastica può e deve avere in questo delicato momento storico sociale. Una scuola che si apre alle istanze di adeguamento e rinnovamento dei rapporti sociali, culturali ed economici. Noi tutti, ed in particolare i nostri bambini siamo diventati meri soggetti consumatori e proprio per questo risulta fondamentale riacquisire le nozioni ed i comportamenti che hanno caratterizzato la nostra cultura contadina che da sempre ha privilegiato il momento della produzione. Nel nostro istituto tutto ciò ha trovato lungimirante espressione, nel contesto di Scuola Aperta, nella programmazione e nella realizzazione di orti sociali. Nel concreto sono stati individuati dei piccoli appezzamenti di terreno in San Giovanni a Piro, Scario e Bosco. L’orto di San Giovanni è stato realizzato su un terreno messo a disposizione da un generoso privato, nei pressi dell’aria del Cenobio Basiliano, mentre gli altri due sono stati inventati sottraendo al degrado alcune aree non cementificate ricadenti all’interno del perimetro della scuole primaria di Scario e della scuola dell’infanzia di Bosco. Questa preziosa esperienza ha assolto un primo luogo alla rilevante funzione di integrazione tra bambini/e e ragazzi/e di differenze estrazione socio culturale e diverse problematiche e risorse personali. Inoltre ha avuto una grande capacità di aggregazione con il coinvolgimento, in molti momenti, delle famiglie (le mamme in particolare) del personale docente e non docente e di altri membri della comunità. C’è stata naturalmente una iniziale diffidenza ed incredulità nei confronti di questi docenti un po’ strani che portavano gli alunni “a sporcarsi le mani di terra” e a imbracciare arnesi di fatica ritenuti obsoleti come carriole, pale, zappettino, picconi e vanghe-forconi. Stessi arnesi, che in più occasioni, sono venuti meno alla loro originale funzione e sono diventati dei veri e propri stumenti musicali popolari che hanno allietato con i loro suoni inconsueti e arcaici i lavori iniziali dell’allestimento delle aiuole rialzate. Poi queste strane ed allegre processioni lungo la strada che portava all’orto hanno iniziato a destare la curiosità dei compaesani che hanno iniziato a portare un benevolo contributo umano ai loro figli e nipoti che si cimentavano con il momento della produzione della “robba pe’ mangià”. Ancora piu’ meraviglia ha suscitato il fatto che questi orti hanno assunto particolari forme artistiche che sono state stimolate dall’emergere dello spirito del posto richiamato alla luce dalla geniale fantasia immaginativa dei bambini. A San Giovanni una benevole coincidenza con l’ubicazione dell’orto, quasi a parafrasi dell’intuizione del sociologo Maurizio Pallante che ha teorizzato una decrescita sociale felice agita nei monasteri del terzo millennio, l’orto ha assunto la forma di una doppia spirale che si apre all’infinito… Nei terreni, sicuramente curati con amorevole sapienza dai monaci basiliani che ivi, avevano stabilito dimora nei secoli passati, le due spirali di terra rialzata ci rimandano ad un simbolo di energia proprio delle culture di tutto il mondo. E poi come non considerare il profondo messaggio di risonanza connesso all’essere in terra di mezzo tra le eliche a spirale del DNA e, alzando gli occhi al cielo le affascinanti nebulose delle nostre galassie? A  Scario è venuto fuori un orto in cui le aiuole a bancale riproducevano la sinuosa e spumeggiante forma di un onda che è arrivata dal vicinissimo mare ad invadere il cortile della scuola. A Bosco, una emozionante gestazione collettiva, ha dato luogo ad un orto che ha assunto la forma di un arcaica Dea madre rivolta ad est in direzione della “sponta ru sole”e di fronte la dimora di Ort-ega. Il tutto riempito dalla gioiosa visione mozzafiato dell’incantevole golfo di Policastro. Questo orti, oltre ad essere belli, vogliono essere anche da un punto di vista co-ulturale una interessante mediazione di molte filosofie che informano le varie contemporanee correnti di pensiero ed azione legate alle pratiche di agricoltura naturale. Infatti nell’allestimento materiale degli orti si è tenuto conto:

  1. nelle varie fasi di lavorazione, trapianto e semina dei principi delle indicazioni della biodinamica;
  2. dei principi dell’agricoltura naturale di Fukuoka, contadino-microbiologo giapponese precursore della permacoltura. Nel suo agire egli ha sviluppato pratiche agronomiche che permettono al suolo di mantenersi selvaggio anche essendo coltivato mantenendo una dinamica selvatica in un suolo fertile e sano.
  3. delle indicazioni di Emilia Hazelip, agricoltrice spagnola che ha iniziato a parlare di agricoltura sinergica. La sinergia implica il funzionamento dinamico e concertato di vari organi per realizzare una funzione. Così come nel nostro organismo tutto il sistema e i suoi elementi funzionano interrelazionandosi e con coerenza, questa sinergia è presente tra la terra ed i microrganismi che la abitano, tra i legumi e i batteri fissatori di azoto atmosferico e nell’associazione tra piante che si danno mutuo beneficio. Quindi non solo la terra nutre la piante ma sono le stesse piante che contribuiscono con i loro essudati radicali  al meccanismo di autofertilizzazione del terreno. Lavorando su bancali (aiuole) di circa 120 cm di larghezza e 50 cm di altezza, il suolo di copre con pacciamatura costituita da uno strato di resti organici che fa da filtro protettore tra la superficie della terra e i gas atmosferici, la forza dissecante del sole è quella compattante ed erosiva della pioggia e il vento. Questa copertura diventa anche un concime di superficie che va ad alimentare la terra da sopra a sotto. Così si stabilisce nel suolo un equilibrio stabile tra i suoi abitanti, siano lombrichi lavoratori di profondità, o i miliardi di ogni specie di esseri microscopici vegetali e animali che vivono nel suo seno. In nessun momento vanno traumatizzati vanno traumatizzati modificando e sconvolgendo il loro habitat (non lavorazione del terreno). Imitare ciò che  fa la natura implica lasciare la terra sempre coperta da pacciamatura, nel nostro caso paglia e residui vegetali verdi aperta solo negli spazi o nelle linee di semina. La pacciamatura si va così trasformando da mantello di copertura in humus. Affinché la terra disponga di materia organica al suo interno, senza la necessità di interrarla, si lasciano sempre dentro le radici, eccetto quelle che si raccolgono con il consumo. Questi resti nutrono la flora intestinale della terra e questa a sua volta permette la nutrizione delle piante. Per l’irrigazione abbiamo usato il sistema che prevede l’utilizzo di tubicini posati sul suolo che lasciano scorrere l’acqua goccia a goccia e che sono stati lasciato permanentemente sulle aiuole.
  4. dei contributi della tradizionale sapienza contadina indigena. (aggiungere file lombrichi)

Tutti i materiali organici sono stati reperiti in zona (letame e paglia). Il risultato finale si è manifestato in orti espressioni di sintesi e mediazioni culturali in sinergia tra di loro.

Partendo dall’assunto che ogni angolo della è naturalmente fertile senza l’intervento dell’uomo (viene alla mente facilmente l’immagine di un bosco e della profumata macchia mediterranea), si è cercato di integrare le piante domestiche e le piante selvatiche, espressione della vegetazione spontanea. E siccome siamo noi che vogliamo far crescere piante domestiche in un sistema vegetazionale che non prevede la loro presenza, è stato necessario trovare un giusto equilibrio per favorire la formazione di una nuova “società vegetale”  favorendo  la pacifica e benefica compresenza di biodiversità naturale. Il tutto senza modificare la stratificazione dell’organismo terra che ha una sua particolare e peculiare vita in ogni strato. L’importanza della diffusione di tali sistemi di coltivazione, sempre migliorabili avrebbero un notevole beneficio:

  1. sulla stabilizzazione idrogeologica dei territori dovuto alla non aratura del terreno,con conseguente risparmio energetico dovuto al non utilizzo di mezzi meccanici , razionale impiego della risorsa acqua;
  2. non inquinamento del terreno;
  3. utilizzo oculato anche dei più piccoli spazi verdi urbani con ottimizzazione delle produzioni orticole dal punto di vista qualitativo e quantitativo;
  4. Benefica azione socio economica in quanto le persone di possono incontrare per l’allestimento di orti collettivi che li sottrae anche al consolidato ruolo di consumatori vedendoli impegnati ad autoprodursi alcuni beni alimentari essenziali buoni, puliti e solidali, anche con notevole risparmio economico.

Il tutto ha suscitato riflessione sul senso di appartenenza a una cultura contadina nella quale affondano le nostre radici, ricollocandola in un ruolo centrale e svincolandola dalla autopercezione di subalternità nella quale è stata da sempre confinata dalla “cultura ufficiale”.  E’ stato molto bello ,nella manifestazione finale tenutasi a Scario  osservare l’orgoglio gioioso che mostravano i ragazzi nel porgere ai partecipanti i frutti del loro lavoro e dire: questo l’ho fatto io. Sarebbe bello in futuro avere la possibilità che queste autoproduzioni  orticole  possano trovare posto ed utilizzo nella mensa scolastica dell’Istituto, dando un valido contributo ad una formazione di una rinnovata coscienza alimentare.

Concludo questa comunicazione con un pensiero rivolto ad una figura di grande spicco nell’orizzonte pedagogico internazionale, Angelo Patri, primo dirigente scolastico italiano nel Bronx, nei primi anni del secolo scorso. Il nostro conterraneo, originario di Piaggine (a Pruno di Laurino esiste una scuola intitolata a lui). si può ritenere un precursore di Scuole Aperte in quanto nel lontano 1913 riuscì ad attivare nella scuola pubblica del  quartiere italiano a New York, laboratori di lingua, educazione motoria, coltivazioni agricole e artigianato. Egli diceva che la scuola che non penetrerà nel più profondo della vita delle persone che la circondano, sarà incapace di penetrare nella vita e nel cuore dei fanciulli che gli sono affidati. Un grande ringraziamento a tutti i bambini che mi hanno insegnato tante cose, ai collaboratori non docenti (Luigi in particolare), tutor e docenti interni ed infine un grato pensiero alla figura illuminata della dirigente scolastica che ha reso possibile tutto ciò.