ROFRANO E’/E  MANGIARE MERIDIANO

MEDITERRANEO

Origine dei triìddi

I più autorevoli storici dell’alimentazione che si sono occupati di indagare sulle

origini della pasta, sono concordi nell’attribuire agli Arabi, attraverso i due canali

privilegiati della Spagna e della Sicilia, l’introduzione in Europa di questo nuovo

prodotto.Le prima testimonianze in tal senso risalgono all’XI – XII secolo , se non

addirittura ancor prima, ed è proprio nella Sicilia di tradizione Araba che

incontriamo le prime industrie di pasta secca destinate all’esportazione.

Nel <Libro di Ruggero>, opera geografica dell’autore arabo Al Idrisi, composta

nel 1153, possiamo leggere questa interessante descrizione :

< A ponente di Termini vi è l’abitato di Trabia, sito incantevole, ricco

di acque perenni e mulini, con una bella pianura e vasti poderi nei

quali si fabbricano “itrìya” (vermicelli, spaghetti) in quantità tale da

approvvigionare, oltre ai paesi della Calabria, quelli dei territori

musulmani e cristiani, dove se ne spediscono consistenti carichi per nave ,,,,>.

A Trabia prosperava l’industria della pasta e in particolare modo , di

quel tipo espressamente menzionato da Al Idrisi : gli < itrìya >.

Con la semola di grano duro (Triticum durum) ,com’è noto, i musulmani

insediatosi in Spagna in epoca medievale , elaboravano, oltre al tradizionale

“cuscus” , anche alcuni tipi di pasta secca come i “fidaus” e gli “itrìya”.

Per preparare questi ultimi, conosciuti nell’oriente islamico con il termine

” rishta”, si stendeva la pasta a sfoglia e la si ritagliava poi in nastri sottili,

modellandola quindi con le mani per ottenere un lungo cordoncino.

Questa era , infatti, il significato della parola <rishta> (cordoncini), che ricordano

esattamente i nostri spaghetti.

 

Questa riportata è la prima testimonianza scritta relativa alla produzione di pasta essiccata ed è tratta dal libro “Chi si diletta per girare il mondo”, scritto dal geografo arabo Al Idrisi per Ruggiero II di Sicilia (1154).

 

Il procedimento adottato per l’essiccazione prevedeva che la pasta fosse esposta al sole per qualche tempo. Quindi posta in luoghi chiusi, riscaldati per mezzo di bracieri, garantendo così come dice Al Idrisi “di affrontare anche viaggi lontani senza deteriorarsi”.

 

Il vocabolo “trie”, derivato dall’arabo itriyah (focaccia tagliata a strisce, sopravvive ancora oggi in molte località del sud Italia, ma dal basso Medioevo la pasta venne definita più genericamente anche con il termine maccheroni. Quest’ultimo derivato dal siciliano “maccarruni”, proverrebbe da “maccari”, ossia schiacciare.

 

In un saggio di Emilio Sereni, i napoletani da mangiafoglie a mangiamaccheroni, troviamo che “…nel testo del theatrum sanitatis- che risale alla seconda metà del 300 o ai primi del 400- delle paste alimentari ci si parla sotto il titolo di Trij”.

 

Derivato quindi dall’arabo Itriyah, con tale denominazione si usava indicare, ancora in età bizantina vari tipi di manufatti di pasta.

 

E’ facile cosi’ immaginare la corruzione del termine arabo che è diventato nel dialetto Rofranese triìddi.

 

Cosi’ come la ricetta dell’impasto è stata integrata e modificata aggiungendo farina macinata in mulini a pietra (una volta abbondanti ) di ottime castagne raccolte nei boschi rofranesi ed essiccate con cura.

 

La mescola prevede l’uso di tre quarti di farina di grano duro ed un quarto di farina di castagne con l’aggiunta di preziosa acqua delle abbondanti sorgenti di Rofrano.

 

Ogni famiglia si onora di fare i tri’ddi piu’ buoni e meglio conditi ma si puo’ veramente affermare che i la pasta fatta a mano è buonissima e rappresenta il piatto forte in ogni casa rofranese.

 

Una ottima occasione per assaggiarli potrebbe essere in occasione della festa comunitaria per la raccolta di fondi per l’acquisto e la successiva liberazione nei castagneti locali di insetti antagonisti al cinipede che sta seriamente compromettendo la salute dei secolari boschi

Eccoli qua……     qui li potete vedere